con Silvia Guidi, Teresa Fallai e Simone Rovida
scena e costumi Camilla Bacherini
disegno luci Lucilla Baroni e Francesco Bianchi
colonna sonora Vanni Cassori
direzione organizzativa Raoul Gallini
La Principessa Bianca è un dramma d’assenze: davanti a una villa principesca persa nel silenzio abbacinante della calura e intatta nel paesaggio immoto della campagna toscana, si danno appuntamento le ombre. La principessa non ha nome è solo un’indicazione fonetica, un sogno che respinge la realtà: per lei il mondo non esiste anche se intorno a lei una misteriosa pandemia travolge e cancella la vita. Rainer Maria Rilke (1875-1926) uno dei più grandi poeti del ‘900, scrive La Principessa Bianca (1904) per Eleonora Duse e da vita all’immagine più agghiacciante (perché inconclusa) che il teatro involontariamente ci consegna dell’io diviso di cui parla la psicologia del profondo ( la principessa crea l’Uomo del suo Sogno come Mary Shelley creò a suo tempo l’androide).
RASSEGNA STAMPA
A FIRENZE IL DRAMMA CHE SCRISSE (INUTILMENTE) PER LA DUSE – SE RILKE VA IN BIANCO
Veneratore della Duse, Rainer Maria Rilke scrisse per lei un testo che l’attrice non riuscì mai a portare in scena. Oggi l’astrattezza e la totale mancanza di azione del lavoro spiegherebbero facilmente perché, ma nel primo Novecento i vari Maeterlinck, Yeats e lo stesso D’Annunzio avevano proposto sfoghi lirici altrettanto poco naturalistici. Nella Principessa Bianca tuttavia si va ancora oltre, verso un teatro della mente dove sogno e realtà hanno la stessa consistenza. In un luogo non specificato, ma al cospetto del mare, una principessa subito abbandonata dal marito che non ha consumato le nozze langue confidando ad una sorellina i propri vagheggiamenti dell’arrivo di un’amante; sopraggiunge invece un messo ad annunciare che fuori dilaga una pestilenza, probabile battistrada della morte. Accentuando l’astrattezza della situazione, la regia di Riccardo Massai la colloca dentro una specie di bianco condotto che incornicia le due donne come l’interno di una canna della pistola degli 007 (scene di Camilla Bacherini), un tronco di cono terminante in un oblò che talvolta diventa specchio; l’atmosfera soprannaturale è aiutata da musiche eclettiche, dalle luci di Lucilla Baroni e Franceco Bianchi, e dalla collocazione del tutto in un locale anomalo e molto affascinante come le ex scuderie dei giardini di Boboli. Così Silvia Guidi in candido abito da sposaun po’ sgualcito e Teresa Fallai in tenuta neutra un po’ da elfo effondono le loro trepidazioni che ogni tanto prendono sostanza, come quando un autentico cavaliere evocato con le parole entra nella sala caracollando su un destriero autentico. In poesia tra idea e fatto concreto non ci sono confini.
LA STAMPA, 30/05/2009, Masolino D’Amico
“INCUBO E SOGNO, VITA D’ATTORE” – MASSAI PARLA DEL SUO RILKE IN SCENA ALLE PAGLIERE DI PITTI
Sarà lo spazio più bello e inedito dell’ Estate Fiorentina. Le splendide Pagliere, ex scuderie di Palazzo Pitti, aprono per la prima volta i battenti ad uno spettacolo teatrale. Accade per la novità La Principessa Bianca, testo pressoché inedito che il poeta tedesco Rainer Maria Rilke scrisse nel 1904 per Eleonora Duse, che non andò però mai in scena. La regia è dell’ottimo Riccardo Massai, da poco passato alla Pergola come assistente di Luca Ronconi in Giusto la fine del mondo. Protagoniste de La Principessa Bianca sono due eccellenti attrici fiorentine: la dea del teatro off Silvia Gudi e Teresa Fallai, che molte volte ha recitato con Ugo Chiti e la sua Arca Azzurra, accanto a loro Simone Rovida. Come ha scoperto La Principessa Bianca? “Grazie ad una pubblicazione del testo edita nell’88 dalla Ubu libri di Franco Quadri. Rilke scrisse quest’opera per la divina Duse, che però non riuscì mai a portarla in scena”. Perché? “Forse perché la grande attrice era già in fase calante. Certo è che lei adorò questo testo e non poterlo allestire rappresentò un rimpianto”.Ed a lei, Massai, cosa interessa del testo di Rilke? “Lo spettacolo sarà un sogno e un incubo. La Principessa Bianca anticipa la psicanalisi, ma viene prima anche di Aspettando Godot di Beckett. La protagonista, che è Silvia Guidi, aspetta un uomo che dovrebbe arrivare dal mare e che forse non arriverà mai. In realtà la principessa attende la morte. I protagonisti indossano abiti contemporanei: il mio spettacolo altro non è se non un viaggio all’interno dell’uomo, quello che si vede sul palcoscenico avviene nella mente dei protagonisti”. Come lo ha ambientato? “Gli attori si muovono all’interno di un tronco di cono che ha una profondità di otto metri ed un’altezza di quattro: l’ambiente è surreale, claustrofobico. Vedo in quest’opera una metafora della vita dell’attore. il quale vive il tempo che trascorre fra uno spettacolo e l’altro come un’attesa infinita: quello che avviene nel mezzo non conta. Ho pensato alla Guidi e alla Fallai come a donne dipinte da Louis Janmot. un pittore francese dell’800 che per tutta la vita ha raffigurato due donne in eterna attesa. Mentre l’enorme cono bianco che si vede sul palcoscenico rimanda ad artisti come Salvador Dalì o Max Ernst, ma ci si potrebbe vedere anche la balena di Pinocchio, magari quella misteriosa che disegnava Roland Topor. La locandina è stata realizzata dal pittore armeno Mikayel Ohanjanyan, invitato nel 2011 alla Biennale di Venezia”. Come ha pensato alle Pagliere? “L’idea non è mia devo ringraziare la Sovrintendenza ai Monumenti di Pitti, che ce l’ha proposto. Lo spazio è bellissimo, tradizionale, ben inserito nel complesso prestigioso di Palazzo Pitti, e ci ha consentito una platea con circa duecento posti”.
LA REPUBBLICA, 08/05/2009, Roberto Incerti
IN SCENA ALLE PAGLIERE “LA PRINCIPESSA BIANCA”
Il tema di fondo del poeta austriaco Rainer Maria Rilke è la morte. Importante sapere che la parola “morte” in tedesco è maschile. Fatto da non sottovalutare quando vediamo “La Principessa Bianca” aspettare quel Lui che può essere tanto atteso e così diverso, gentile e amabile, dal marito violento e aggressivo, dall’altro appunto la fine, il termine ultimo, la dipartita come salvezza. Il luogo della messinscena è suggestivo. Il regista Riccardo Massai, assistente al maestro Luca Ronconi per quattro pièce (“Il Falstaff” al Maggio musicale 06, “Giusto la fine del mondo” e “Il mercante di Venezia” al Piccolo Teatro di Milano e già richiamato per la prossima produzione 2011), assieme alla Sovrintendenza hanno individuato lo spazio delle Pagliere, le antiche scuderie di Palazzo Pitti. Questo anche per ospitare la grande scena composta da un cono con una profondità di otto metri e un’altezza di quattro. “Rilke ha scritto poco per il teatro – racconta Massai – questo testo è incompiuto. Lo aveva scritto per Eleonora Duse che però non lo ha mai portato in scena. Il poeta e la musa si sono incontrati molte volte dal 1904 fino al ’17. La principessa (Silvia Guidi qui tenera, struggente, languida, mentre Teresa Fallai è la sorella e Simone Rovida il messaggero)aspetta il suo amante che dovrebbe arrivare dal mare. Fino ad ora ha vissuto da reclusa e prigioniera sottomessa e soggiogata ad un principe spregevole. Vi si può vedere l’umanità che ha perso tutti i suoi valori, religiosi e umani, le sicurezze che si portava dentro e si trova in attesa di un nuovo secolo. E’ un testo ancora attualissimo. Non so se Rilke lo sapeva, ma è una storia realmente accaduta a Trieste, dove per altro il poeta aveva una villa: una Dama Bianca che aveva vissuto con un marito brutale per sfuggirgli si suicidò gettandosi dalla finestra. A Trieste si dice che si veda ancora il fantasma della donna sulla scogliera. La principessa si è rifugiata nel sogno ma dovrà fare i conti con la realtà. Alla fine arriva la peste, la morte che incombe, che forse è il suo amante.
IL NUOVO CORRIERE, 17/05/2009, Tommaso Chimenti
QUELLA PRINCIPESSA BIANCA PRIGIONIERA DEI PROPRI SOGNI – RICCARDO MASSAI DIRIGE SILVIA GUDI
Un pozzo aperto verso l’inconscio, un luogo onirico per eccellenza (il castello) assediato dalla realtà della morte, una principessa bianca di nome e di veste che sogna l’amore vero, e una sorella alter ego, grigia laddove lei è bianca, crisalide in lento divenire destinata ad esserne sempre più complementare. Riccardo Massai debutta domani nell’inconsueto e bellissimo spazio delle Pagliere di Firenze (ex scuderie di Palazzo Pitti) con La principessa bianca di Rainer Maria Rilke. Scritto per Eleonora Duse, il testo narra la storia della principessa del titolo, che finalmente liberata da un brutale principe che la sposò fanciulla, si costruisce un amante che, forse, diventerà carne ed ossa per approdare fino a lei. Fuori imperversa la peste, vera e devastante, dentro i sogni della protagonista e della sorella diventano rifugio, finzione, un “altrove” cuccia in cui rannicchiarsi. «Mentre leggevo il testo capii subito che era ciò che cercavo – confessa Massai, direttore artistico del Teatro di Antella e assistente di Ronconi al Piccolo -. Ho voluto regalare un’ora di poesia agli spettatori, qualcosa che andasse al di là del semplice testo teatrale». In scena due attrici di razza del teatro toscano, la sanguigna Silvia Guidi e la diafana Teresa Fallai (eguali e diverse allo stesso tempo), nei ruoli della principessa e della sorella. «L’attesa dell’amante è beckettiana – continua Massai -, il vero accadimento è l’arrivo del messaggero (Simone Rovida,ndr) che annunciando la peste crea uno spartiacque nella storia». L’imponente struttura scenografica- pensata da Massai come«un’installazione, un’opera d’arte in cui muoversi» e realizzata da Camilla Bacherini con Raoul Gallini – invita ad abbandonarsi al sogno: «la bellezza del testo non deve distogliere lo spettatore: ci si vede lasciare andare per capire quel che accade in scena». Dalla spirale freudiana di Hitchkock fino agli incubi di Lewis Carroll, ognuno potrà vivere come crede questa favola affatto rassicurante: «il sogno nel quale la protagonista vive è la metafora dell’esperienza teatrale e della vita dell’attrice, evanescente al di fuori del tempo della rappresentazione », conclude il regista.
L’UNITA’, 19/05/2009, Valentina Grazzini
“Il teatro, come la peste, scioglie conflitti, sprigiona forze, libera possibilità, e se queste possibilità e forze sono nere, la colpa non è della peste o del teatro, ma della vita” (Antonin Artaud).
In bilico tra il sogno e l’incubo, ora bianchissimo, ora candido latte, adesso nefasto e nebuloso, “La principessa bianca”- sposa cadavere- sirena di rilkiana memoria, simbolo decadente, emaciato e in decomposizione, stagna nella sua gabbia dorata dentro la quale si trova al riparo, al sicuro, nel rifugio costruitole attorno. Fuori è il tumulto, l’inconscio, lo sconosciuto, il non gestibile, il sorprendente, anche, quindi, l’ansioso. Il regista Riccardo Massai fa entrare, come ragno, la sua principessa Silvia Guidi (prende i panni che non ha mai vestito Eleonora Duse), che da sempre ha posto il suo percorso artistico al servizio della ricerca teatrale in campo psicologico se non addirittura psichiatrico per capirne i gangli per carpirne i risvolti, in un cono orizzontale. E’ certamente il vortice della mente, ma anche la tana kafkiana, è una spirale dove cadere volentieri, un gorgo, un cannocchiale per vedere la realtà deformata, un caleidoscopio lisergico, un tubo che conduce, un intestino che ristagna, un buco che attrae, un pozzo claustrofobico, un oblò per descrivere il mondo là fuori, un bicchiere rovesciato dove leggere i fondi del caffé, una galleria del vento, una navicella spaziale che fluttua nell’universo senza gravità, un tunnel la cui uscita è ora uno specchio riflettente, ora un Cristo che galleggia, ora un buco nero che si mangia l’intorno, è la pancia della balena di Pinocchio, è una teca di vetro per mostrare gli esperimenti, è una bara, una cella, una tomba con impressioni d’eclisse. Il tappeto sonoro eclettico e variegato di Vanni Cassori è azzeccato e spazia negli stati e strati d’animo e segue alla lettera la partitura della parola e i continui sommovimenti dei sentimenti in divenire. La principessa potrebbe assumere ai nostri occhi l’inadeguatezza di una Marylin, la bellezza triste di Lady D, l’algidità superba della Fata Turchina, il sorriso mesto di Grace Kelly, la vitalità repressa delle mogli di Barbablu, l’annegare di Ofelia. Sono anime nel limbo, immerse in un delirio manicomiale. E’ Alice nel castello che ha paura a restare e timore ad uscirne. Fuori c’è l’amante, travestito da peste, da malattia, da zombie di Romero e una città oltre il lago che pare “L’isola dei morti” di Bocklin, mentre i latrati di lupi famelici- licantropi danno i brividi dei cani dell’“Inferno” nella versione diRomeo Castellucci. Una cellula devastante che prende le sembianze di un messaggero tossente, che è l’inizio della fine che s’insinua in punta di piedi prima di esplodere virulento. Il terreno, la vena, l’arteria, il corpo, l’organismo è stato irrimediabilmente colpito e il decesso è l’ultima soluzione, l’unica via d’uscita. Una Morte a Venezia che puzza di marcio, tra simbolismo e romanticismo, a respirare la peste manzoniana come quella di Camus. E’ come sentire l’odore da nausea dolce dell’acqua putrida rimasta in un vaso di fiori macilenti e secchi davanti ad una lapide in un cimitero. Come urina d’asparagi.
http://www.scanner.it/live/laprincipessabianca4701.php, 26/05/2010, Tommaso Chimenti